domenica 9 novembre 2014

"Dialoghiamo, per il futuro dei nostri figli"

Intervista al leader della comunità pakistana di Desio



Ashraf Mohammed Khokhar, leader della comunità pakistana locale, presidente dell'associazione culturale Minhaj  Ul quran, conosce molto bene Desio.
“Sono arrivato il 30 giugno 1990. Avevo 29 anni e cercavo lavoro. Non sapevo una parola di italiano. Sono stato ospite dei miei cugini in una bella villetta in via Verdi.”

Qual è stato il suo primo impatto con Desio?
“Appena arrivato, mentre ero solo in casa, hanno suonato alla porta i vigili.  Venivano per le pratiche della residenza dei miei cugini. Io non capivo nulla, ci siamo spiegati a gesti”.

Come ha affrontato i giorni successivi?
“Ho trovato lavoro presso una ditta che faceva pavimenti. All'inizio è stata dura, per il problema della lingua. Poi ho imparato le mie prime parole in italiano. Amico.  E i nomi degli attrezzi: cazzuola, martello”

E i desiani come li ha trovati?
“Accoglienti. Dopo qualche mese, mi sono trasferito in via XXIV maggio. Ho fatto amicizia con i miei vicini di casa, una famiglia di italiani.  Poi, nel 1996, ho iniziato a frequentare la scuola d'italiano per stranieri”.

E' stata importante la scuola?
“Si. Io sono stato il primo studente. Ricordo ancora il primo giorno: sono entrato in una classe piena di italiani, pensavo di avere sbagliato. Invece quelle persone erano i volontari insegnanti. Erano tutti lì per me. Ho frequentato anche le 150 ore”

Permesso di soggiorno, ricongiungimento famigliare: è stato difficile sbrigare le pratiche?
“Difficilissimo. Ho dovuto avere pazienza, fare code interminabili davanti alla questura di Milano. Alla fine ce l'ho fatta. Mia moglie e i miei tre figli mi hanno raggiunto. Nel 1998 mi sono trasferito a Giussano”.

Torna spesso a Desio?
“Quasi tutti i giorni”.

Dove va?
“ Frequento le associazioni Desio Città Aperta e il Gruppo Solidarietà stranieri. Faccio visita ai missionari saveriani. E, ovviamente, frequento la moschea di via Forlanini”

La moschea è  stata al centro di un acceso dibattito il mese scorso. Voi pakistani avevate intenzione di costruirne una più grande, su un terreno da comprare in via Roma. Ma il comune ha rifiutato la vostra richiesta.  2500 desiani hanno firmato contro. Se l'aspettava?
“No. Non capisco perchè i desiani si sono mobilitati contro la moschea. Noi in via Forlanini non ci stiamo più. Quando abbiamo comprato quello scantinato, negli anni 90, eravamo in pochi. Adesso siamo in tanti. Nel week end, in occasioni particolari,  siamo in  500. Abbiamo bisogno di spazi. Un luogo per pregare e per fare incontrare famiglie e  giovani. Non vogliamo nasconderci in uno scantinato, ma vogliamo dare dignità al nostro luogo di culto”.

Cosa dice ai desiani che hanno firmato contro la moschea?
“Perchè  non chiedono direttamente a noi quali sono le nostre intenzioni, invece di fare girare voci false? Noi vogliamo semplicemente fare valere un nostro diritto”.

C'è chi si lamenta perchè in piazza Conciliazione “ci sono troppi stranieri”.
“Se non abbiamo uno spazio dove ritrovarci, andiamo in piazza”

In  Pakistan i cristiani non sono liberi.  Proprio in settimana una coppia di cristiani è stata uccisa.
“Ci sono anche tante belle realtà di dialogo interreligioso di cui non si parla. Io stesso, durante un viaggio in Pakistan, sono stato ospite dell'arcivescovo di Lahore a cui ho raccontato i progetti di dialogo che portiamo avanti qui a Desio con i missionari saveriani, sotto la guida della Diocesi. Noi condanniamo il terrorismo: abbiamo diffuso un comunicato in cui prendiamo le distanze”.

Le piace Desio?
“Si, la considero al pari del villaggio in cui sono nato. Anche se mi sono trasferito a Giussano, Desio  resta la mia città".

C'è qualcosa che non le piace di Desio?
“Sento che manca qualcosa. La  città è ancora chiusa, dopo tanti anni di convivenza con gli immigrati.. C'è la paura di perdere la propria identità. Anche noi abbiamo questa paura. Ma tutte  le parti devono fare più sforzi, gli stranieri e la comunità locale”


Che messaggio vuole lanciare ai desiani?
“Incontriamoci. Dialoghiamo.  Noi ci mettiamo a disposizione. Lo vogliamo fare soprattutto per i nostri figli, che sono il futuro”. 

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