Intervista al leader della comunità pakistana di Desio
Ashraf Mohammed Khokhar, leader
della comunità pakistana locale, presidente dell'associazione culturale
Minhaj Ul quran, conosce molto bene
Desio.
“Sono arrivato il 30 giugno 1990.
Avevo 29 anni e cercavo lavoro. Non sapevo una parola di italiano. Sono stato
ospite dei miei cugini in una bella villetta in via Verdi.”
Qual è stato il suo primo
impatto con Desio?
“Appena arrivato, mentre ero
solo in casa, hanno suonato alla porta i vigili. Venivano per le pratiche della residenza dei
miei cugini. Io non capivo nulla, ci siamo spiegati a gesti”.
Come ha affrontato i giorni
successivi?
“Ho trovato lavoro presso una
ditta che faceva pavimenti. All'inizio è stata dura, per il problema della
lingua. Poi ho imparato le mie prime parole in italiano. Amico. E i nomi degli attrezzi: cazzuola, martello”
E i desiani come li ha trovati?
“Accoglienti. Dopo qualche
mese, mi sono trasferito in via XXIV maggio. Ho fatto amicizia con i miei
vicini di casa, una famiglia di italiani. Poi, nel 1996, ho iniziato a frequentare la
scuola d'italiano per stranieri”.
E' stata importante la scuola?
“Si. Io sono stato il primo studente. Ricordo ancora il primo giorno: sono
entrato in una classe piena di italiani, pensavo di avere sbagliato. Invece
quelle persone erano i volontari insegnanti. Erano tutti lì per me. Ho
frequentato anche le 150 ore”
Permesso di soggiorno,
ricongiungimento famigliare: è stato difficile sbrigare le pratiche?
“Difficilissimo. Ho dovuto
avere pazienza, fare code interminabili davanti alla questura di Milano. Alla
fine ce l'ho fatta. Mia moglie e i miei tre figli mi hanno raggiunto. Nel 1998
mi sono trasferito a Giussano”.
Torna spesso a Desio?
“Quasi tutti i giorni”.
Dove va?
“ Frequento le associazioni
Desio Città Aperta e il Gruppo Solidarietà stranieri. Faccio visita ai
missionari saveriani. E, ovviamente, frequento la moschea di via Forlanini”
La moschea è stata al centro di un acceso dibattito il
mese scorso. Voi pakistani avevate intenzione di costruirne una più grande, su
un terreno da comprare in via Roma. Ma il comune ha rifiutato la vostra
richiesta. 2500 desiani hanno firmato
contro. Se l'aspettava?
“No. Non capisco perchè i
desiani si sono mobilitati contro la moschea. Noi in via Forlanini non ci
stiamo più. Quando abbiamo comprato quello scantinato, negli anni 90, eravamo in
pochi. Adesso siamo in tanti. Nel week end, in occasioni particolari, siamo in
500. Abbiamo bisogno di spazi. Un luogo per pregare e per fare
incontrare famiglie e giovani. Non vogliamo
nasconderci in uno scantinato, ma vogliamo dare dignità al nostro luogo di
culto”.
Cosa dice ai desiani che hanno
firmato contro la moschea?
“Perchè non chiedono direttamente a noi
quali sono le nostre intenzioni, invece di fare girare voci false? Noi vogliamo
semplicemente fare valere un nostro diritto”.
C'è chi si lamenta perchè in
piazza Conciliazione “ci sono troppi stranieri”.
“Se non abbiamo uno spazio dove
ritrovarci, andiamo in piazza”
In Pakistan i cristiani non sono liberi. Proprio in settimana una coppia di cristiani
è stata uccisa.
“Ci sono anche tante belle
realtà di dialogo interreligioso di cui non si parla. Io stesso, durante un
viaggio in Pakistan, sono stato ospite dell'arcivescovo di Lahore a cui ho
raccontato i progetti di dialogo che portiamo avanti qui a Desio con i
missionari saveriani, sotto la guida della Diocesi. Noi condanniamo il
terrorismo: abbiamo diffuso un comunicato in cui prendiamo le distanze”.
Le piace Desio?
“Si, la considero al pari del
villaggio in cui sono nato. Anche se mi sono trasferito a Giussano, Desio resta la mia città".
C'è qualcosa che non le piace
di Desio?
“Sento che manca qualcosa. La città è ancora chiusa, dopo tanti anni di
convivenza con gli immigrati.. C'è la paura di perdere la propria identità.
Anche noi abbiamo questa paura. Ma tutte le parti devono fare più sforzi, gli stranieri
e la comunità locale”
Che messaggio vuole lanciare ai
desiani?
“Incontriamoci. Dialoghiamo. Noi ci
mettiamo a disposizione. Lo vogliamo fare soprattutto per i nostri figli, che sono
il futuro”.